Non c’è posto al mondo dove si cerchi la pasta così tenacemente come l’Italia. Anche chi odia la ricerca spasmodica delle tradizioni culinarie italiane, nei paesi stranieri cade, almeno una volta in un viaggio di venti giorni, nella tentazione della pasta. Accade che un visitatore per nulla schizzinoso della cultura culinaria colombiana, passeggiando tra le stradicciole tra la Cattedrale di Santa Caterina d’Alessandria e la Torre dell’Orologio a Cartagena (o Cartagena delle Indie) scorga all’improvviso l’insegna d’un locale – La Malena – con appena sotto scritto “Hoy pasta!”.
Nonostante la dichiaratissima avversione all’italianità culinaria all’estero, la parola pasta contiene una specie di sortilegio che incatena qualsiasi connazionale e, non c’è verso, si finisce per oltrepassare, pur con tutti i dubbi d’incontrare una cocente delusione, la soglia dell’ambiente piuttosto macilento. La lavagna propone improbabili accostamenti di pasta e sughi e il cliente diffidente ordina pasta y pescado salado.
Per un buon italiano la prima forchettata significa tutto e il visitatore appena l’ha deglutita scatta in piedi, va direttamente dal ragazzo scuro di carnagione che pare essere il factotum del locale e, a gesti inconsulti, chiede chi sia il cuoco. L’uomo salta fuori dalla mezza porta a battenti arrivata direttamente dall’epopea del West.
“Buenos dias. Digame!”.
“Ma son ‘bigoli in salsa’!”.
Il cuoco esplode in una risata.
“Sei del Nord Italia?”
“Si, ma i bigoli in salsa a Cartagena!?”.
“Certo. Sono Piero Benazzato, cuoco della nave Maria Erika, di solito all’ancora al porto di Genova. Ho sposato una donna di Cartagena e son rimasto qui. Ho rinunciato a molto, ma alla pasta buona non riesco proprio a rinunciare”.
Foto: web.
Per commentare devi accettare i cookie di profilazione. Modifica le tue preferenze sui cookie